31 dicembre 2011

Trucioli di critica linguistica (5): Martini

Metà degli anni Novanta del secolo scorso: una festa sfarzosa e notturna. Il Teatro Olimpico del Palladio (o Apollonio si sbaglia?) le fa da scenario. È un tempio della ragionevolezza classica e inquieta della civiltà dell'Occidente, in uno dei momenti più alti della sua premoderna maturità.
Un giovane uomo dai tratti marcatamente mediterranei s'avanza nel tripudio, tra coetanee e coetanei. Corre a impugnare, come trasparente simbolo, una bottiglia di spumante, apertamente disposta alla bisogna. Con gesto enfatico, ne fa saltare il tappo e spillare il liquore.
Il tappo monta su verso il cielo, allontanandosi da un panorama di monumenti del Vecchio continente. Prende a viaggiare veloce da Est verso Ovest, tra nuvole illuminate dalla luna. L'inquadratura in fantastica soggettiva è quella che sofisticati prodotti della grande industria capitalistica dello spettacolo e del consenso hanno prestato ai missili balistici intercontinentali sovietici diretti verso ignare ed inermi città americane. L'immaginario collettivo dei tempi del terrore nucleare, insomma, messo in berlina dopo la caduta del Muro.
Il tappo si dirige del resto verso la città americana per eccellenza. Si dirige proprio verso un suo emblema edilizio: un grattacielo. Vi penetra. È l'anticipazione di una realtà non ancora imminente ma certo prossima. La fornisce una futile fantasia pubblicitaria. E, col senno del poi, lascia di stucco.
A ricevere il tappo nell'ombelico, opportunamente esposto, è però nella circostanza una donna di colore, quasi posta sopra un piedistallo come una venere antica, in un ambiente animato ma scarno. Personaggio della moda, si tratta di celebrata bellezza dalla fama globale.
La donna stacca il tappo dal suo ombelico. Ne rileva l'iscrizione. Sul fondamento dell'osservazione sperimentale, si lancia in un tipico modulo della razionalità occidentale: un'inferenza. Tale inferenza fa appunto da payoff della campagna pubblicitaria: "Martini? There's a party".  Ecco, per la memoria e per verifica dei lettori, il comunicato commerciale:



Passa un anno e si replica. Le variazioni sono modeste ma vale la pena notarle. Investono la testimonial, lo scenario verso cui il tappo muove e quello da cui esso si muove.
La prima è adesso una star hollywoodiana dai piccanti trascorsi interpretativi. Spingendosi ancora più verso Ovest, il tappo che viene dall'Est la raggiunge, ma senza contatto fisico diretto e imbustandosi (segno di un eros corretto da tempi calamitosi?). Lo dice una ripresa televisiva che duplica la realtà per farla più reale (ma non per questo vera) e proietta il singolare evento sopra uno schermo gigante, nel momento topico di una cerimonia emblematica della cultura della costa occidentale americana.
Durante una festa d'uomini e di donne e secondo la già nota modalità, il proiettile è stato scagliato di nuovo da un giovane dai tratti italiani, stavolta senza enfasi sulla mediterraneità. 
Come quadro, la festa pare avere scorci della Mantova ducale. Se di ciò si tratta, si tratta allora di nuovo del luogo simbolico di uno sfarzo e di uno spirito al tempo stesso inquieti e sereni, volatili e immortali, come furono quelli del Rinascimento.
Il payoff non muta nella sostanza. Lascia l'interrogazione retorica, ormai ridondante, per la semplice asseverazione che satura una sospensione. Ripete poi il modo ragionevole dell'inferenza su base sperimentale:



Il secolo rapidamente declina. Declinano fasti e speranze indotti dalla  caduta del Muro. Declina anche, simbolicamente, il millennio. E nel simbolico declino di un millennio ecco che il giubilo si trasforma, paradossale augurio, in premonizione della catastrofe d'una civiltà.
La festa notturna, adesso, è solo di donne. Gazebo, bordi di una piscina: in uno spazio aperto che non c'è dettaglio che non qualifichi come posto in alto e, soprattutto, come non-luogo.
Stilizzate sullo sfondo, però, e a fare "Oriente", una piramide e un parallelepipedo cui sta in cima una sorta di cupoletta sferica: tre, due, uno. Forse, allora, è il paradiso di un martire di un Islam post-moderno, traboccante, a detta del Corano, di splendide uri dagli occhi neri e di una bevanda fresca e chiara.
Percorre un diritto corridoio il prototipo di un uomo (tale è il testimonial stavolta, con prospettiva rovesciata): si intuisce che desidera essere ammesso alla festa. Va da un chiuso verso l'aperto. Bussa così a una porta topologicamente paradossale. Riconosciuto nel suo valore dallo spioncino, la porta gli viene aperta.
Per l'ammissione all'Eden il suo valore e la sua fama non bastano tuttavia. Un attributo è decisivamente richiesto: bisogna che, opportunamente dotato, faccia saltare un tappo, molti tappi, forse, che facciano "boom". Dall'uri portiera (l'abito dal rigore monacale, scura d'occhi e di capelli) viene di conseguenza l'espressione di un'esclusione per via d'un principio normativo, cui soggiace un'aperta modalità deontica: "No Martini. No party". È, coerente coi tempi, il nuovo e fortunato payoff della campagna commerciale.
Non più il piacere ipotetico-descrittivo, tutto occidentale, dell'inferenza di una ragionevolezza laica e quasi scientifica. Non più il (pur pericoloso) contagio di un'ideologia umana o dell'umanissimo spasso libertino, da un Occidente a un altro ed estremo Occidente.
Adesso, movendo ad Oriente, la prospettiva prescrittiva d'una religione: il piacere è promessa metafisica che segue la prova estrema e ultra-umana di un passaggio da un dentro opprimente verso un ignoto fuori. È un piacere che domanda la preliminare soddisfazione di un dovere, l'assolvimento del quale è forse però un annichilimento:



La premonizione si fa profezia. La profezia si compie da se stessa. Alcuni tappi esplosivi, opportunamente orientati da uomini che contano con certezza sulle uri promesse, hanno centrato le altissime ma periclitanti certezze della civiltà dell'Occidente. Resta aperta, a quel punto, solo una strada: una glossa in cui, facendo dell'ironia sull'ironia, si finisce per dire, papale papale, ciò che, visto che è accaduto, doveva ineluttabilmente accadere.
Forse solo torbidamente sognata, la festa che ha celebrato la fine del Secolo breve è essa stessa rapidamente finita e di recuperare le fonti di una lieta ragionevolezza non si è più (o, ottimisticamente, ancora) capaci:


Oggi (sono già passati alcuni anni) lo si può avere per certo. Lo ha dimostrato il decennio dei piccoli numeri e delle cifre sempre più spropositate e ormai non solo ingovernabili ma forse incalcolabili. Il decennio dei ridicoli nani.

1 commento: