6 gennaio 2012

"La Sicilia come metafora"

Dall'emisfero australe arriva ad Apollonio la segnalazione di un premuroso sodale. Lo informa che nella prosa di  un editorialista del più venduto quotidiano italiano è comparsa ieri una nuova metastasi di la Sicilia come metafora. L'espressione formulare fu coniata da Leonardo Sciascia, amplificata dal titolo di un libro curato da Marcelle Padovani alcuni decenni or sono e sul suo esempio mille e mille altre sono state frattanto corrivamente costruite.
Coloro che si servono dello stilema (e Sciascia per primo) intendono dire, più o meno, che la Sicilia   (o Roccacannuccia o Pratofiorito) sarebbe sineddoche (dell'Italia, del mondo e così via): più questione di metonimia che di metafora, di conseguenza. 
Il Cielo preservi però Apollonio dal farsi risentito vindice di pedantesche appropriatezze terminologiche. Ognuno si esprime e vive come meglio gli aggrada, correndo liberamente il rischio di piacere a molti sciocchi, dispiacendo a pochi idioti, o di esser gradito a pochi idioti e ignorato da molti sciocchi. 
C'è poi uno stretto varco (lo si deve pur ipotizzare) tra le due evenienze: chi sia votato a percorrerlo nessuno lo sa, meno che mai, di norma, il predestinato, cui (ammesso che ne abbia qualche consapevolezza) sembrerà sempre di avere parlato solo a se stesso e di avere scritto solo ciò che era capace di scrivere e niente altro.
A forza d'insistere sull'abuso di metafora, potrebbe poi verificarsi una disgrazia peggiore di quella, corrente da qualche anno, che vede l'un tempo nobile figura tanto mal ridotta.
Potrebbe accadere infatti che anche sineddoche entri nel turpe commercio di quella lingua che Barthes definiva fascista e sia così d'improvviso fatta strumento di vizio e di perdizione. Il recente caso di ossimoro dovrebbe suonare da ammonimento. Contro l'effimera epifania del nome d'un tropo sotto la penna linguisticamente irresponsabile d'una persona di mondo a niente valgono i millenni che quel nome ha trascorso in scritti conservati da polverose biblioteche.
Meglio tacere, premuroso sodale, e sorridere (o gemere) sommessamente.

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