19 gennaio 2012

"Questo è il suo primo romanzo"

Paese un dì di poeti (oltre che di santi e di navigatori), l'Italia lo è oggi di prosatori (sulle altre categorie, si stenda nell'occasione un velo di pietà). E "questo è il suo primo romanzo" è la formula che ricorre frequente sulle quarte di copertina della relativa produzione.
Il prosatore o, più sovente, la prosatrice esordiente è merce che si trova oggidì su tutti gli espositori delle librerie. Merce continuamente rinnovata, considerata la sua alta deperibilità. Venduti come esordienti, infatti, così come vergini, si può essere solo una volta, a meno di mettere in opera gli strani artifizi di antiche mezzane o di accorti consulenti editoriali. 
La prima volta è dunque volatile, oltre che difficile, come ognun sa, e bisognerebbe fare molta attenzione a come la si spende e a chi la si dà. Anche in letteratura, infatti, solo poche prime volte profumano veramente d'inizio e, conseguentemente, d'eternità. Nella maggior parte dei casi, i primi romanzi più che d'inizio, sanno invece d'iniziazione: ad una professione pubblica di non commendevole menzione. Sono insomma puttanate e, trattandosi sovente di giovani firme, intenderanno i cinque lettori di Apollonio come vanno tenuti coloro che le incoraggiano e ne traggono profitto.
Ma qui, come si sa, non si è usi far la morale a nessuno anche perché si pensa che, in persistente penuria di virtù, l'allegria del vizio (sempre che il vizio sia allegro: purtroppo non è spesso così, quanto ai casi in questione), l'allegria del vizio, si diceva, sia, come attitudine di vita, di gran lunga preferibile alla lugubre ipocrisia spacciata tartufescamente come virtù, ad ogni angolo di questo povero mondo.
Se l'esordio si porta, che il relativo profitto ben faccia a chi ha saputo imbastirlo, come prestatore o prestatrice d'opera e come, si dica così, impresario.

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