7 agosto 2014

Lingua loro (32): "mozzafiato"

La relativa voce del Grande dizionario della lingua italiana non ne contiene attestazioni. Siamo nel 1981 - anno d'uscita del volume che la contiene -  ed è un modo per dire che la parola esiste ma che, in linea di principio, nello sterminato corpus letterario sul quale la redazione ha lavorato essa non compare.
Il recente Grande dizionario italiano dell'uso, che non è un tesauro ma si lancia regolarmente nelle datazioni (per la gioia dei retrodatatori, curiosa ma simpatica specie di amatori del lessico), dice 1963.
Apollonio non ha voglia di far controlli. La data è del resto sospetta e loquace. La si trova spesso nei dizionari, quando si tratta di parole un dì nuove: nuove, insomma, quando Apollonio era un moccioso. 
Con un'indicazione del genere e senza l'indicazione d'una attestazione, c'è da scommettere che il genitore lessicografico di mozzafiato sia il solito Bruno Migliorini, nella sua appendice alla decima edizione, del 1963 appunto, del glorioso Dizionario moderno di Alfredo Panzini. 
Erano gli anni della prima crisi del Centrosinistra e dell'appannarsi del cosiddetto Boom (quando l'Italia giocava a far la Corea, del Sud, naturalmente, pur albergando nel suo cuore una Corea del Nord: il miracolo italiano, in altre parole).
Mozzafiato, ricorda Apollonio, che c'era, era "una pellicola". Fuor di ciò, praticamente niente altro. Lessico da Vice, l'ubiquo, precario critico cinematografico che percorreva, a sera, le sale secondarie dell'intera nazione (con che mezzi, non si sa) perché capace di pubblicare in contemporanea i suoi pezzi, e pezzi diversi per film diversi, si badi bene, tanto sull'"Eco di Bergamo" quanto sulla "Sicilia" di Catania.
Glielo avessero detto, al buon Vice, che mozzafiato sarebbe diventato ciò che frattanto è diventato, non ci avrebbe creduto. Lui, la mezzacalzetta, incidere sull'italiano più di un Alberto Moravia!
Non c'è serata festosa infatti che oggi non lo sia, mozzafiato. Ragazzi/e e panorami, lo stesso. Non si dica delle pietanze che arrivano sul tavolo di qualsivoglia pizzeria o dei viaggi in comitiva. In libreria, poi, dotata di scaffali o virtuale che essa sia, un libro su due lo è. E a chi si diletta a contare le parole che circolano per la rete e/o per il mondo (i linguisti che vanno di corpora, insomma), ci vorrà poco per attestare (una volta che si sia approntato l'opportuno tag) che, come aggettivo, mozzafiato sta in alto nelle graduatorie di frequenza: perlomeno all'altezza di rompiscatole e delle sue varianti (per restare nello stesso tipo di composto). E ciò qualcosa vorrà pur dire.

6 commenti:

  1. ... e sant'Iddio verrebbe proprio da dire 'mozzafiato' per la folgore "quando l'Italia giocava a far la Corea, del Sud, naturalmente, pur albergando nel suo cuore una Corea del Nord: il miracolo italiano, in altre parole". Le patrie glorie così sbiancate di verità, che diamine!

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  2. Le corse a perdifiato, su e giù per lo stivale, del Vice di se stesso, avranno pure avuto voce in capitolo nella genesi di quest'aggettivo così ubiquo e, al fondo, reticente.
    Sarebbe interessante rilevare la presenza e/o la frequenza di "a perdifiato" nel vocabolario coevo alle suddette corse, che comunque, pur rasentando la corea patologica quanto a frenesia, hanno, alla fine, rivelato virtù unificanti delle due anime sottese alla fin troppo frettolosa definizione di Italia allora riconosciuta e adoperata. Chissà che le odierne corse di Renzi da uno studio televisivo all'altro non riproducano il miracolo.
    Sempre grata per l'occasione e per l'ospitalità,
    Sua Licia.

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  3. Apollonio Discolo8/8/14 11:21

    Vinta la pigrizia, Apollonio scopre di aver sbagliato. Sì, è Migliorini, nella decima edizione del Panzini, del 1963, ad avere assicurato a mozzafiato la gloria d'una registrazione lessicografica. Sì, nel conio ha un ruolo la "settima arte". Annota infatti Migliorini: "È stato adoperato da un critico cinematografico per tradurre thrilling". L'aggettivo non ha però fatto sul principio da attributo a una pellicola>, come le frequentazioni girgentane della sua infanzia suggerivano ad Apollonio di ipotizzare, sul fondamento di una modesta Erlebnis. Sempre secondo Migliorini, l'anonimo critico in questione si sarebbe prodotto in un "è un film mozzafiato". Per la gioia dei retrodatatori (il Grande dizionario italiano dell'uso sarebbe in proposito grossolano), l'avrebbe fatto già nel 1952. Difficile si sia allora trattato di quel Vice la cui ombra si è qui agitata. Non sarà stato un Moravia ma certo uno che pensava che mozzafiato era un nuovo lusso che, lui, poteva permettersi. Il Vice della fumosa memoria di Apollonio, nei primi anni Sessanta, avrà seguito. Mozzafiato e 1952: s'era nel pieno della Guerra di Corea. E quanto appunto alla Corea, che, riferita per metafora all'Italia d'allora, ha colpito la Lettrice e il Lettore, ambedue gentili e pungenti, c'è da dire, senza un filo di nostalgia (Apollonio riserva tale ineluttabile sentimento solo alla sua vita privata), che il 38° parallelo ideologico non fu mai tale da fare diversi gli Italiani più di quanto essi fisiologicamente non lo siano sempre stati. E meno male. Forse, si può aggiungere, sarebbe valsa la pena di continuare a giocare ai Coreani. Più difficilmente infatti sarebbe potuto accadere di consegnarsi - come è poi invece accaduto - ai Giapponesi. E le conseguenze (per es., la menzionata dalla Lettrice) sono sotto gli occhi di tutti.

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  4. In effetti, ora come ora anche il proverbiale "ultimo giapponese", grazie all'evolversi prodigioso del codice binario, si ritrova con "molte miglia da percorrere prima di poter dormire, molte miglia da percorrere prima di poter dormire", per dirla con gli ultimi versi martellanti di una poesia di Robert Frost, a loro volta moltiplicati dalla fama mutuata sia dal grande che dal piccolo schermo. Un paradosso quasi zenoniano per un dimezzatore e mezzobusto nato come il nostro (ex) primo cittadino.

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  5. Apollonio Discolo10/8/14 18:58

    Gli scorciati paradossi piacciono ai Lettori di Apollonio. Del resto piacciono anche a lui. Fortunata coincidenza. Talvolta la concisione è con scapito di chiarezza. Ma nell'espressione - prima ancora che nella comunicazione - le funzioni emotiva e fatica - capita lo si dimentichi - hanno dignità pari a ogni altra.

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