14 febbraio 2015

Generazione-"A me preoccupano..."

Dire o scrivere A me preoccupano queste vicende è testimoniare uno sviluppo sintattico ormai consolidato dell'espressione italiana. Qui, del fenomeno, si è fatta più volte questione e non si vuole annoiare ancora con i suoi triti aspetti normativi e grammaticali chi benevolmente legge questo diario. La grammatica dei grammatici è del resto solo la scorza (a volte indigeribile) di una lingua che invece, a saperla spremere, dà succhi gustosi.
Come accade con i veri mutamenti linguistici, per i parlanti che sono portatori dell'innovazione si tratta ormai di comportamento automatico e irriflesso, a proposito del quale, testimoniano un bassissimo livello di consapevolezza. Insomma, fanno qualcosa senza sapere ciò che fanno. 
"Perché? Come dovrei dire altrimenti?", ci si sente rispondere con fastidio se si ha l'improntitudine o il candore di interrogare in proposito chi così s'esprime.
Per servirsi allora d'un concetto di Edmund Husserl (la cui anima corrucciata si spera non fulmini chi osa evocarla in una sede tanto ignobile), si può dire che la Meinung del tipo A me preoccupano queste vicende è sprofondata nei recessi più silenziosi dell'incoscienza di chi ne proferisce ricorrenze. Ripescarla per farne oggetto di una riflessione, sempre alla buona, come usa qui, può essere divertente.
Lo straripante successo del tipo A me preoccupano queste vicende dice, da un lato, di una semplificazione (o, se si vuole, di un depauperamento) nello spettro delle risorse grammaticali che danno forma alla messa in prospettiva del ragionamento, dall'altro e correlativamente, di un aumento dell'ipocrisia nel rilievo che la prima persona grammaticale ha, in modo nuovamente crescente, dopo un periodo di maggiore controllo, nella parola italiana contemporanea.
Queste vicende mi preoccupano (cioè preoccupano me, si badi bene, non a me) è la piana forma cui fare corrispondere intuitivamente la più marcata A me preoccupano queste vicende. Con la sua semplicità, la prima dà tuttavia poca salienza alla prima persona: la particella atona mi è tutto quanto la lingua, formalmente, le concede. Poco, bisogna ammettere. Basta o, meglio, può bastare se chi parla non vuole stare troppo al centro dell'attenzione.
Un misero mi non basta certo, invece, a una intentio focalizzata da chi s'esprime su se stesso. Alla bisogna e nel caso specifico, risorsa tradizionale sarebbe allora il passivo: Sono preoccupato da queste vicende. 
Il passivo ha però qualche difetto: un tempo, lo si sarebbe magari detto pregio ma, come si sa, valutazioni del genere cambiano con le epoche: l'ingresso, locale d'attesa e di disimpegno, pregio dei vecchi appartamenti di civile abitazione, è tenuto ancora come tale? 
Anzitutto, il passivo comporta che, nella testa di chi se ne serve (e di conseguenza anche di chi l'interpreta) qualche rotella giri e qualche ingranaggio si metta in moto. Rispetto all'attivo, comporta insomma un calcolo grammaticale supplementare. Non si tratta infatti d'un semplice spostamento di pezzi; si tratta d'una rivalorizzazione di rapporti. L'oggetto ha da diventare soggetto. Il soggetto deve mettersi da parte e capita pure che sia invitato a uscire dalla comune. Come forma concettualmente più elaborata, il passivo alza inoltre il livello dell'espressione; infatti, di preferenza, lo si scrive (e lo si legge). 
Col passivo, insomma, c'è da faticare. E a qual pro? Vale la pena se, poi, in italiano (che, non lo si può negare, è in proposito una lingua molto elegante), per fare venire fuori in maniera esplicita l'io che preme dire, bisogna fare ancora uno sforzo? Perché, si badi bene, una volta fattosi soggetto, il pronome personale si tace, nel caso comune. D'abitudine, è solo la morfologia verbale a dare segnale di esistenza e natura della persona grammaticale del soggetto. 
Sparato in un discorso, fuori di una riconosciuta esigenza, Io sono preoccupato da queste vicende, con quell'io spudoratamente ridondante, fa megalomane o appena post-infantile. Trattandosi di passivo, ovviamente, più megalomane che post-infantile: bimbe e bimbi ci mettono del tempo a realizzare cosa mette a loro disposizione la bella risorsa delle diatesi.
Col passivo e quanto a fare mostra di sé, rispetto al mi che le concede l'attivo, la prima persona si trova in altri termini davanti a un'alternativa. O ottiene l'effetto paradosso (per quanto elegante) d'abbassarsi e d'intrupparsi così col resto (tempo e modo) che trova posto nella morfologia verbale. O esce sfacciatamente allo scoperto e si espone a quel punto al rischio che chi ascolta pensi (o addirittura dica) "Io sono preoccupato? Embè? Perché quell'io? Ti fossi montato la testa? Ma stiamo parlando di te? A chi vuoi che importi che tu sei preoccupato!".
Dal punto di vista della Meinung espressiva di una prima persona che vuole parlare di sé, il tipo A me preoccupano queste vicende è allora un uovo di Colombo. La forma che, senza troppa fatica (ché, di lavorare, e chi ne vuol più sapere?), risolve ogni problema per tutti gli io che, come si diceva, parlando di qualsiasi cosa, vogliono stare in primo piano, restando tuttavia abbastanza accorti (perché non si sa mai) nel darlo a vedere. 
Come livello di elaborazione funzionale, A me preoccupano queste vicende è infatti attiva e, a produrla e a interpretarla, c'è da fare solo il calcolo di base: è disponibile a ciascuno e, per dirla semplicemente, è "parlare come se magna", senza incartarsi in improbabili passivi. 
Con me in apertura, sottolineato inoltre dalla preposizione (la forma pronominale sola, poverina, non ce la farebbe), la prima persona ci fa la sua bella figura. Sta lì in primo piano. Non s'impegna, d'altra parte, a comparire come io, cioè, per dir così, in pompa magna. Me è l'abito che la prima persona indossa quando è retta, quando (non solo apparentemente) non fa da protagonista. Ma protagonista, nel caso specifico, pretende ipocritamente di essere. 
Non volesse fare da protagonista o non fosse ipocrita, direbbe, con diversi gradi di decenza e di esplicito rilievo, Queste vicende mi preoccupano o, con un po' di luce su se stessa, Sono preoccupato da queste vicende, o ancora, in un crescendo, Queste vicende preoccupano me e Io sono preoccupato da queste vicende. Allo stato, questa bella varietà espressiva, con le sue luci e le sue ombre, è sommersa dal tipo, conformisticamente dilagante e generalizzato, di A me preoccupano queste vicende. Ed ecco, quindi, la risposta che Apollonio suggerirebbe di dare a chi opponesse un "Perché? Come dovrei dire altrimenti?". In almeno quattro modi differenti, graduati quanto a effetto discorsivo. Peraltro (il che non guasta) tutti normativamente corretti, a differenza della forma che oggi va per la maggiore e che, come ogni innovazione, è sottilmente violenta (e volgare anzi che no).
Poi, però, Apollonio si ferma a riflettere. E intende che, alla fine, ancora una volta è forse solo una questione di generazione: generazione intellettuale, non anagrafica. Che c'è, insomma, una generazione-A me preoccupano queste vicende, riassunta e qualificata in questa forma, quanto alla sua profonda Meinung espressiva, cui semplicemente egli non appartiene. E pensa che tale generazione ha tutto il diritto di essere inconsapevole di ciò che dice e di non voler sentirsi dire, da chi la guarda da lontano, cosa le forme di ciò che dice dicono di lei. Ha tutto il diritto, in altre parole, di venire avanti, di nuovo e anch'essa, in prima persona, giustamente incurante delle sciocche elucubrazioni di un Apollonio qualsiasi, allattato sotto un cielo di Meinungen espressive differenti. 
Meno giustamente incurante, però, del tremendo giudizio (Apollonio non lo sposa ma lo tiene a mente, come un monito) che, come succo di un'altra epoca di fasti linguistici della prima persona, ebbe a dare un mirabile esperto: "l'io, io!... Il più lurido di tutti i pronomi!... I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che hanno i pidocchi... e nelle unghie, allora... ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona".

[Alcuni precedenti: aprile 2010gennaio 2014ottobre 2014, con un commento che anticipa questo frustolo e rende conto del suo insorgere conclusivo.]

2 commenti:

  1. Le propongo un’ipotesi: forse “a me preoccupano” è, anche, la versione adulta del tanto amato, da bimbe e bimbi d’Italia, di “a me mi …” (piace, soprattutto), regolarmente censurato da maestri, e babbi e mamme, se non già acculturati loro, desiderosi che la prole un dì lo sarà. Da adulti poi ci si corregge un po’, ma senza troppo faticare (a che pro?). Uno è di troppo. Quale? “A me mi” dicevano che l’errore è la ripetizione. Quindi? Via il secondo, senza troppi pensieri, che costano tempo e fatica.
    La convince? Io sono convinto dal suo frustolo e, turbato da Gadda (è lui, vero?), un po’ mi vergogno dell’io di inizio frase. Solo un po’, però, ché vergognarsi è gran fatica.
    Il suo come sempre affezionato lettore
    Mauro Lena

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  2. Apollonio Discolo17/2/15 10:35

    Sì, premuroso Lettore. È Gadda: una penna inclemente. Ma consideri: un io lo si ha tutte e tutti. Non si deve esibirlo fuori delle necessità (alcune peraltro piacevoli), ma nemmeno vergognarsene. L'antipatia di Apollonio, tra le funzioni di persona, va ad altro (e certamente Lei ne è al corrente). Il Suo è poi suggerimento plausibile. A me piace... non è però un'innovazione, né lo è la pur censurata (e infantile-incolta) A me mi piace.... Sono innovazioni invece le ormai correnti A me colpisce..., A me turba..., A me preoccupa... che si colgono sulla bocca non di bimbi o di incolti (ambedue le categorie, autentiche rarità), ma della gente di mondo, cioè di quella gente che ha sempre cambiato le lingue, perché interpreta alla perfezione i mutevoli spiriti dei tempi: gli andazzi. Oggi, dice il frustolo, è andazzo di A me preoccupano..., con la sua prima persona esibita in modo tartufesco e con il suo predicato sentimental-psicologico.

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