29 aprile 2018

Specchio, specchio delle mie brame...

Nella lunga vicenda dell'umanità la temperie in atto sarebbe la prima ad avere, come intellettuali, persone mediamente più stupide della gente comune. L'avrebbe osservato un semi-silenzioso professore italiano di filosofia, morto pochi anni or sono. Così ha riferito tempo fa un giovane rumoroso, al contrario, e che si dice suo allievo.
Apollonio non è filosofo e sulla vicenda umana universale non si sente autorizzato a proferire motto. Quelle poche mezze ore che ha speso, da autodidatta, a farsi qualche idea speculativa sull'umanità pregressa e presente e, ancora più decisivamente, la sua esperienza (inclusa, se non preponderante, quella di se medesimo) lo spingono tuttavia a sospettare che un'affermazione tanto perentoria sia, ben che vada, l'effetto di un'illusione.
Un'epoca in cui sia stato lecito (o ragionevole) distinguere tra (attività) intellettuali e non, in funzione del relativo grado di stupidità, minore nel primo caso, maggiore nel secondo, Apollonio sospetta non sia mai esistita. 
Ciò non vuol dire naturalmente che la fola non abbia circolato e che non lo abbia fatto perniciosamente. È accaduto soprattutto da quando, come tipica faccetta dell'ideologia moderna, è comparsa gente che, qualificatasi come intellettuale, si è atteggiata a intrinsecamente intelligente. Da allora, è cresciuta a dismisura l'esigenza di nascondere, davanti al mondo, spudoratezza e volgarità di una simile pretesa. Tale gente ha così preso a raccontarsi come intelligente. E c'è stato chi, a forza di raccontarlo, ha finito per crederci e ha pensato di esserlo, intelligente.
Ma si ammetta pure, senza concederlo, che la sortita di quel professore abbia colto nel segno. Si tratterebbe di pensiero concepito da un intellettuale di un epoca in cui gli intellettuali sarebbero mediamente più stupidi della gente comune: quindi, quasi certamente di una stupidaggine. O di un lapsus, di una mal controllata ammissione riflessiva, di un modo di confessarsi stupido.
Pietas, da parte dell'allievo, sarebbe insomma stato continuare a tacerne. 

16 aprile 2018

A frusto a frusto (118)



La conseguenza più nefasta del sorgere di un problema, nella vita associata, è l'apparire di chi si vota a risolverlo. Di quel problema, finisce infatti per diventare regolarmente uno degli aspetti più ardui e cospicui.

6 aprile 2018

Da "Ciclo di rappresentazioni classiche" a "Festival del Teatro Greco"

"Ciclo di rappresentazioni classiche" è stata chiamata fino all'anno scorso un'importante manifestazione culturale promossa a cadenza un dì biennale e più recentemente annuale dall'ultracentenario Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa: 


Con l'anno presente, la denominazione, di sobria eleganza e di referenziale semplicità, sembra sia stata travolta dall'onda inarrestabile di un andazzo: 


Non si cambia un brand senza una ragione cogente. L'adeguamento a un uso corrivo sarà stato ritenuto tale da chi ha deciso l'abbandono del vecchio nome e l'adozione del nuovo. Si sa del resto che trivialità e "così fan tutti" sono ottimi segnali di richiamo per allocchi ambigeneri.
Nella nuova denominazione, s'è d'altra parte affidato al numerale ordinale il compito di millantare una continuità negata dal sostantivo: se si parla di "Festival", si tratta infatti del primo.
La furbesca combinazione suona allora a un orecchio avvertito come un piccolo sfregio portato alla filologia: la scienza rigorosa e arcana che rende salda la parola scritta, sancendone la migliore tradizione, e cui la manifestazione, quasi ne fosse un rito, ha implicitamente dovuto fin qui la sua esistenza.